Un tempo fatti e conoscenza si tramandavano a bocca - quel che culturalmente dicesi tradizione orale - e più d'una volta ho sentito dai vecchi, soprattutto di Musolesi, che il da noi diffusissimo cognome Musolesi altro non voleva significare che gente del Mugello, Mugellesi appunto. Gente che in tempi lontani - io dico Medio Evo, ma non era questa l'espressione usata, altra dalla nostra - aveva lasciato la Toscana e scavallato l'Appennino per stabilirsi nella valle del Sambro, allora poco abitata. Fossero fuoriusciti, famiglie cioè esiliate a seguito delle faide che insaguinavano i comuni (Dante ne è il grande testimone), fossero persone che fuggivano dalla peste che infestavano i centri popolati (Boccaccio racconta la peste del 1348 a Firenze), fossero contadini e pastori che cercavano nuovi pascoli e terre da dissodare....(Fanti, cioè uomini da fatica, e Vaccari, guardiani di bestiami, i primi cognomi della nostra valle a detta di Rumanin d'Ambròs, autorevole memoria storica di San Benedetto fin che le fonti orali non si sono inaridite per sempre). Che i Musolesi fossero famiglie di ceppi diversi e che il loro non fosse inizialmente un cognome parrebbe dimostrarlo il fatto che non rammentavano e non rammentano una parentela nemmeno lontana: v'erano e vi sono Musolesi alla Serra, a Cà di Gugliara, al Fornello e ovviamente a Musolesi, che non hanno tra loro legami di sangue. Dunque Musolesi è un aggettivo, come Tedeschi, Catalani, Napolitano.
Fin qui ricordi e testimonianze a voce. Ma esistono documenti. Io stesso - essendo parroco don Alberto Marchioni - ho consultato i registri dei battesimi custotoditi nell'archivio della parrocchia di San Benedetto alla ricerca di informazioni sul nostro passato. Ecco di seguito quel che ho scoperto in proposito.
Il più antico registro inizia con la data 20 febbraio 1640 e Angelo è il nome del primo battezzato trascritto, figlio di Domenico Giovanni Vaccari (il che confermerebbe le asserzioni di Romanino d'Ambrogio) e di sua moglie Elisabetta. Non è riportato il cognome della madre. Solo ai primi del '700 compaiono infatti nei registri i cognomi originari delle mogli a testomoniare la perdurante sudditanza della donna, prima al padre e ai fratelli poi al marito. Del resto non tutte le famiglie hanno ancora in quel periodo un cognome ereditario. V'è qualche padre di neo-battezzato indicato col semplice nome, senza altra aggiunta. Altri sono specificati soltanto dal mestiere. Compaiono, ad esempio, un Gabriele fabbro e un Giovanni detto il tintore. Alcuni presentano il primo nome seguito da un secondo che è forse il patronimico e che comunque è già cognome o sta per diventarlo. Vi è comunque un Giorgio de Porziola, lo si cognominava cioè dalla località donde proveniìva, come appunto i nostri Musolesi. Infatti ancora nel 1667 leggiamo - in latino nei registri - il cognome Muselesis (se anziché so, come oggi) e nel 1725 addirittura Musellessi. La credenza che i Musolesi di oggi fossero antichi toscani del Mugello pare veritiera: perchè Mugellesi, detto alla toscana, si pronuncia Muséllesi, con un suono dolce fra ge e se, e il buon parroco d'allora avrà trascritto in modo approssimativo quel che udiva. Nel tempo la grafia si è modificata e consolidata sotto l'influsso della nostra parlata che aveva cancellato il toscano: in dialetto diciamo infatti Muslés, tradotto dai parroci in Musolesi.
Toscani del Mugello emigrarono dunque da noi secoli fa e un copiscuo gruppo si stabilì su un poggio a destra del Sambro, di fronte a Sant'Andrea: la terra attorno era per gran parte in pendio e bene esposta, e v'era acqua sorgiva abbondante, come ancora testimonia l'abbeveratoio con l'ormai leggendario Sant'Antonio Abate. Forse disboscarono loro stessi i terreni a 'solano', mentre conservarono a macchia e castagneto quelli a 'baguro'. E cominciarono a costruire con legno e paglia le loro abitazioni. Solo fra il '400 e il '500 abbiamo infatti le prime testimonianze di case in sasso che non fossero di nobili discendenti il più antico architrave datato della Parrocchia di San Benedetto: in cima alla scala interna della casa oggi abitata da Lidia d'Augusto e da Annibale s'apre una porta con sopra la data 1545. Altre posteriori si leggono ancora a Ca' di Lucchini (1562), Ca' dei Galli (1578, ma l'architrave è ora custodito nel campanile), San Martino (1583), La Valle (1631), vecchio campanile (1633). Date più antiche se ne hanno alla Maestà di Piano del Voglio (1493), Qualto (1508), Poggio Suizzano (1525), Castelluccio (1563, oggi sepolta fra le macerie).
Sempre a Musolesi, su due architravi di lato alla medesima scala si possono ancora ammirare una rosa scolpita al modo dei maestri Comacini - famosi capimastri medievali - e il monogramma IHS. La rosa è beneaugurante simbolo pagano di fecondità, e dunque di abbondanza e fortuna: non ne conosciamo altri di simili nel territorio di San Benedetto ed è pertanto preziosissimo documento per la nostra storia (ve n'era uno stilizzato al Castelluccio, ma per l'incuria degli uomini è andato perduto; un altro simile è leggibile sull'arco acuto di una casa di Valle, ma in comune di Mounzuno). Le tre maiuscole IHS rappresentano invece il noto (almeno alla mia generazione) simbolo cattolico I(esus) H(ominum) S(salvator), col quale s'invocava la protezione divina sulla casa e su chi l'abitava.