Borgo Musolesi, gente venuta dal Mugello, appennino Tosco Emiliano tra Bologna e Firenze

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Domenico Simoncini

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“QUANDO NON DORMO, CONTO LE PERSONE…

“Quando non dormo, non conto le pecore, conto le persone”. Chi conosce Domenico Simoncini – detto “Simet” – non si stupisce della battuta, conoscendo il suo fare burbero, ma anche il suo grande attaccamento per il borgo in cui e’ nato e dove ha vissuto, come tanti altri, la giovinezza, e dove non riesce a non ritornare, anche solo per quattro passi.  
Chi non lo conosce, deve sapere che “Domenico” e’ l’unico in grado, forse, oggi,  di ricordare – persona per persona -  la gente che abitava a Musolese (il nome del borgo e’ controverso)  tra il 1935 e il 1950: in totale, 141 persone, fidandosi della sua memoria, dove oggi si contano 16 residenti e una trentina di persone in totale, villeggianti compresi.  Di tutta questa gente che non c’e’ piu’ tiene una sorta di quaderno personale, dove ha annotato in bella calligrafia nome, data di nascita, data di morte: come se li avesse seguiti in un lungo percorso senza averli mai dimenticati…  Una sorta di diario della memoria:  dal suo racconto sembra di vederle, quelle persone, descritte fin nei minimi particolari, affollare le vecchie case, ora quasi tutte restaurate: dodici persone in due camere da letto, senza bagno, adesso la casa e’ vuota….    
Tempi che cambiano, cosi’ come e’ cambiato il borgo: oggi, a ricordare, interviene una sorta di pudore perche’ molte cose vissute forse – col benessere - si fa fatica a capirle, e quasi quasi ci si vergogna un po’.  “Sia chiaro – interviene Domenico con fare energico -  io non rimpiango proprio niente, si sta molto meglio adesso …Sai cos’e’, allora eri giovane, i pensieri non e’ che ti davano fastidio…. “   
Nativo di San Benedetto (La Serra), Domenico Simoncini  arrivo’ a Musolesi nel 1929, all’eta’ di tre anni: vi ha abitato fino al  1950: ha lasciato il borgo per  Bologna, dove si trasferi’ per lavoro,  all’ eta’ di 24 anni, dopo aver vissuto la guerra.  Lo zio Giovanni, che visse sempre in seminario fino alla pensione, nel 1952 vinse alla Sisal 2 milioni 900 mila lire,  con un 12 al totocalcio. Compro’ subito una casa in citta’,  dove ando’ a vivere il nipote con la famiglia.  Riusci’ anche a comprare una piccola casa a Musolesi -  “quella che era stata la casa del fabbro”, ricorda Simet -  pagandola 350 mila lire: li’ passo’ con la cognata la vecchiaia. In banca non si fece piu’ nemmeno vedere:  le restanti 700 mila lire  della vincita,  in 24 anni di deposito -  fino alla morte avvenuta nel 1976 -  fruttarono 52 mila lire(!!!)  che non bastarono nemmeno a pagare le tasse di successione per l’eredita’.  
”Io avevo tre anni quando sono venuto a Musolesi…. – racconta Domenico Simoncini - Ricordo che mio padre fece  il trasloco con il “biroccio” (un carro trainato dai buoi, ndr) , e io caddi vicino al campanile….

Come e’ cambiata la vita a Musolesi?

La differenza e’ enorme… Una volta c’era della miseria, la gente andava a letto anche senza cena.   Episodi ce ne sono tanti, non li puoi nemmeno raccontare , quasi  quasi oggi sembrano  offese….  
Ad esempio c’era un uomo,  che aveva forse 7 figli, e  non c’era  niente da mangiare…Alla sera diceva:  a chi va a letto senza cena gli do’ una lira. La mattina,  quando i bambini si alzavano, avevano fame. Allora luii diceva: chi vuole mangiare, mi deve dare una lira…  Cosi’… risparmiava una mangiata!!!

C’era differenza tra contadini e “padroni” …
I contadini avevano una miseria spaventosa: avevano da mangiare e basta. Le scarpe…. andavano alla fiera di Monghidoro  e compravano tre paia di scarpe per tutta la famiglia… Poi andavano a messa, parte alle 8 e parte alle 11, cosi’ si scambiavano le scarpe…

Una giornata tipo…

Quando venivi a casa da scuola andavi ad esempio a casa dei Moruzzi: ci trovavi una trentina di persone, solo loro erano 14 o 15 ….
Ci andavano tutti i bambini di  Musolesi ad ascoltare le favole, che raccontava “Tilliòn”: tutti noi davanti al fuoco ad ascoltare. Il racconto durava anche 4-5 ore: erano favole belle, che venivano raccontate anche dentro al seccatoio, dove venivano messe ad asciugare le castagne per l’inverno.

A Borgo Musolesi in quegli anni vivevano, secondo quello che ci ha raccontato e che si ricorda, ben 141 persone…  Cosa faceva la gente ?
Lavorava cinque o sei giorni al mese: aiutavano tizio, caio, non c’erano spese,  ad esempio per la casa… chi stava in affitto pagava quando aveva i soldi.  Pagavano ad esempio l’affitto, Celso Venturi,  mio padre, e Carlo Mei:  gli altri erano contadini, non pagavano niente… La gente emigrava, andava in Germania. Stravano via sei mesi, un anno…. Poi tornavano, e pagavano i debiti di due tre anni prima. Mio padre e’ andato via quattro-cinque volte. L’ultima volta ando’ ad Amburgo, a lavorare in una polveriera: c’era gia’ la guerra… Quando tornavano, quei soldi bastavano per tirare avanti un paio d’ anni…

Al borgo restavano i contadini….

Si, qui lavoravano i contadini: gli  operai lavoravano otto giorni al mese,  perche’ c’era il sindacato che gli dava qualcosa da fare. La gente si arrangiava: c’era chi andava ai aiutare i contadini, che gli davano in cambio il latte e il formaggio.  
Al borgo, la  maggioranza erano contadini:  i Rinaldi, Giuseppe  Musolesi, contadino di Primitivo, , Fulvio, contadino di Dino Vaccari,  Raffaele  Rinaldi …. E poi Lumini, il contadino di Lenzi  ….
Gli operi lavoravano, ma a turno: Celso Venturi, mio padre…  E poi c’era il  fabbro, un artigiano: lui lavorava sempre, perche’ i contadini avevano sempre le bestie da ferrare…
Poi c’erano quei sette o otto che avevano il lavoro fisso…. A Musolesi il lavoro fisso ce l’aveva Claudio Musolesi, mio nonno, lavorava in comune: portava in giro le cartelle esattoriali, era il messo comunale.  Adelmo Lenzi,  lavorava anche lui in Comune: era forse  capo cantoniere. Ad esempio ricordo che pagava le persone quando andavano ad aprire le strade che aveva nevicato, quando veniva fatta la “spalata”. Si prendevano dieci lire, forse erano gia’ troppe ….

Quanti animali c’erano?
Una decina di buoi e vacche da Lumini, sette da Primitivo, quattro da Fulvio Marchioni. E poi c’era Vittorio Musolesi, che aveva una mucca, che dava il latte e formaggio alla famiglia…

Si dice che una volta la gente era piu’ contenta che  adesso….
La gente era piu’ contenta che  adesso, perche’ non c’erano esigenze… Tutti i giovedi’ da San Benedetto si andava a Monghidoro perche’ c’era il mercato… Se li voltavi in giu’, non avevano un centesimo da spendere, ma non se ne poteva fare a meno… Le osterie erano piene, ma nessuno aveva soldi: pero’ la gente era contenta, penso perche’ erano tutti uguali… tutti in bolletta!!!!

Le strade non c’erano nemmeno
C’era delle viuzze, di sassi, non c’era l’asfalto….certamente non c’erano ringhiere nei muri di Musolesi.  Pero’, con 60-70 bambini, non e’ mai caduto nessuno… Ai  tempi della guerra nei Grilli c’era un rifugio: siamo stati li’ durante i bombardamenti una ventina di giorni. C’era tutta Musolesi, una sessantina di persone. Di mangiare non se ne parlava nemmeno. Ricordo che una volta arrivo’ mia mamma,  con quei paioli di rame grandi:  dentro c’erano patate lesse,  sopra almeno un dito di  sporcizia…  Le patate si erano cotte bollendo con la terra: tutti comunque cominciarono a pelarle e a mangiarle, non guardavano certo alla sporcizia…. La fame e’ fame.  

Poi arrivarono gli americani…
Nel ‘44: il 3 ottobre sono arrivati gli americani. Ricordo che il  26 – 27 settembre cadevano le granate fisse… Il 22 settembre San Benedetto fu bombardato dagli americani e la gente comincio’ ad andare nei rifugi, perche’ cadevano anche le cannonate. I rifugi in paese erano due, uno era quello di Musolesi. Lo avevamo costruito noi: avevamo scavato una galleria nei Grilli con i picconi, poi l’avevano armata con dei legni che ci dava il Comune (tagliavano gli abeti a Pian di Balestra). Ricordo che il rifugio era lungo una ventina di metri, fatto a ferro di cavallo…. Sopra c’erano sette otto metri di terra, insomma era abbastanza sicuro. Lo avevano costruito io, Pietro Venturi, Beppe, Gustavo, tutti i ragazzi di Musolesi….   Uno aveva 18 anni, Pietro 19, Gustavo 20…
E tutti stavano li’ ad aspettare che arrivavano gli americani….   Ogni tanto venivamo a casa a prendere da mangiare ….

Un ricordo particolare?

Avevamo un maialino… Una mattina esco dal rifugio, e vedo il maialinio che girava su per il campo…  Era caduta una cannonata, ed era uscito dal porcile… Riuscii’ con fatica a portarlo in una cantina della casa dei Musolesi ….

Lavoravate per gli americani?
Andavamo nella cucina degli americani a fare gli “sguatteri”: lavavamo le loro marmitte, andavamo a prendere le sigarette… E loro ci davano quello gli restava da mangiare, gli avanzi delle uova fritte del mattino, con la melassa…  Non ci pagavano mai, ci davano sempre della roba da mangiare.   Nella zona di San Benedetto c’ era una divisione di carristi, forse 5 mila persone: il fronte era a Monte Sole … Gli americani sono arrivati nel pomeriggio del 3 ottobre, e sono rimasti fino al 6 - 7   gennaio… Hanno lasciato passare l’inverno …. Erano nelle tende qui intorno, ospiti nelle case …. Ballavano tutte le sere in casa di Attilio, “Tilliòn”….
Qualcuno di noi suonava:  uno di Castel Dell’Alpi la fisarmonica, Vittorio Grandi il sax , Livio Stefanini la batteria …. Si ballava il valzer, c’erano tutte le donne di Musolesi,  poi ci andavano noi…. Gli inglesi invece ballavano in casa di Primitivo,  dove c’e’ oggi a famiglia di Norberto. Anche nella sala di Vittorio Musolesi si ballava.   
Quanti erano? Forse un centinaio di persone ogni sera. E poi cambiavano: la gente andava a letto, ne veniva dell’altra…  

Come ci si divertiva, come si passava il tempo?

Noi ci divertivamo poco, forse loro…Le donne erano sempre quelle, noi eravamo dei ragazzetti… poi venivano giu’ quelli di San Benedetto ….

Cosa si mangiava?
Se non c’erano gli americani, si moriva di fame. Io portavo giu’ gli avanzi dalla cucina: facevano delle frittelle dolci, e quando smettevano di friggere restavano dentro ai bidoni 20 -30 chili di pasta… Io, con  Mario Parazza e Marino Pasqui,  andavamo a  prendere la pasta rimasta e quelli di San Benedetto facevano delle ciambelle. Zia Laura, zia Pina, campavano cosi’… Poi ogni tanto gli americani davano pasta, zucchero, caffe’, the’…. Mario Parazza -  che lavorava anche lui in cucina -  era vicino casa…. Ricordo che aveva fatto un mucchio di the’, tanto che lo dava da mangiare alla mucca.. Gli americani il the’ non lo facevano mai,  e avevano sacchi da dieci chili. Io invece portavo a casa del caffe’ .  

Che tipo di rapporto avevate con i soldati ?

Andavamo d’accordo. Erano poi quasi tutti italiani, anche se nati in America, parlavano bene l’Italiano… Ricordo un certo Mario, il capo della cucina: era figlio di napoletani, nato in America, era un buon uomo… la sera faceva dei mucchietti di cibo dentro le scatole…  

E quando fini’ la guerra?
Quando la guerra e’ finita, si comincio’ a fare qualcosa in giro,  sempre con gli americani.  Andavamo in giro soprattutto a mettere a posto le strade, perche’ le avevano rovinate tutte: passavano carri armati,  le strade si erano allargate, e poi non c’era non c’era fondo stradale….

Qualche ricordo particolare di quel periodo?
Ricordo un sudafricano, Frank: era il giorno di Natale e ando’ a fare il bagno in Sambro: se non lo andavano a prendere, moriva la’, dal freddo. Penso che quando qui da noi e’ inverno la, in Sudafrica,  e’ estate : lui ci raccontava che il giorno di Natale a casa sua andava fare il bagno nel fiume. Penso che  volesse sentirsi a casa….. Andarono a prenderlo al fiume i suoi colleghi, con la jeep e delle coperte, senno’ moriva…


Lei stava bene o male ?

Io sono stato bene: quel periodo li’ ho mangiato parecchio, bevuto e ho imparato anche a fumare…. Oggi ricordo che era  tutto distrutto, ma almeno lavoravi:  prima non facevi niente….

Qualcuno aveva la macchina, dopo la guerra?
La macchina ce l’avevano il dottor Mario Borri, il veterinario Gaetano Piazza e Raffaele Girotti , che aveva il servizio pubblico: portava via un persona ogni due o tre mesi….  Poi c’erano ad esempio i fratelli Stefanini che avevano i camion: si occupavano di trasporti, portavano via la legna… Erano gia’ i signori di San Benedetto.  Io sentivo i vecchio che dicevano.. “Ma non se durera’ (“Me an so brisa s’la puo’ durer… “): si riferivano ad esempio ad uno che andava in giro tutti i giorni … Invece e’ sempre durata. Cambia tutto, ma si va avanti lo stesso: e io non ho mai visto nessuno “durare nella fame”, anche se nel bidone del rusco pane non ne ho mai visto. Una volta gli si dava un morso, e la mano era sotto, per raccogliere le briciole…  

Che ricordo ha dei suoi vent’anni?

A vent’anni, dopo la guerra, non pensavi a niente. Pensavi solo alle donne, a un lavoro sicuro… Non c’era piu’ la preoccupazione, non pensavi cosa faro’ domani….

E poi c’era la storia dei proiettili…
Noi eravamo nel rifugio: ricordo che quando venivi in qua, verso le case, c’erano i tedeschi che ti aspettavano per darti delle borse con dei proiettili. Te li caricavano sulle spalle: dentro tre proiettili di artiglieria, sette chili ciascuno.  Ti davano due borse, 44 chili,…. Le scaricavano vicino al pozzo (la fontana all’inizio del borgo, ndr)  e te li facevano portare giu’ vicino alla sorgente della Sponga…(la sorgente in fondo al paese, ndr). Quel  lavoro in genere toccava al fabbro, che aveva gia’ piu’ di 50 anni… Aveva i figli ammalati da portare a letto, e lui doveva prendere l’acqua  alla fontana , che non era mica in casa.  Intanto le cannonate cadevano, si rischiava anche la vita… Noi andavamo nel rifugio, lui – il fabbro, Roberto Musolesi - era costretto a restare in casa …

Capito’ anche lei di fare il trasporto delle munizioni?
Un volta capito’ anche a me, e io feci finta di avere un “bisogno corporale” per svignarmela… Il tedesco non capiva o faceva finta di non capire , io mi tirai giu’ i pantaloni, poi me la diedi a gambe… Il giorno dopo mi cercavano fuori dal rifugio… Fu Guastavo Musolesi a dirmelo: lui lo avevano gia’ preso, ed era venuto dentro…. Restai dentro cinque, sei giorni…. Intanto qualcuno mori’ per lo scoppio di mine, qualcuno mori’ sotto le cannonate….  

Come si comportavano i soldati con le donne?

Con le donne erano gentili, non e’ mai successo niente…

Come ci si innamorava una volta?
 
Come ci  si innamora adesso… Ci si incontrava nelle feste,  nelle sagre:  festa di maggio di Sant’Andrea, oppure andavi a fare due o tre giorni di lavoro, o te la trovava qualche amico… Di donne ce n’erano parecchie. Difficilmente da qui pero’ si andava prendere moglie a Monghidoro…….  Si sposavano tutti qui…. Massimo arrivavi a Sant’Andrea, a Qualto no… Madonna dei Fornelli non se parla… Allora c’era un campanilismo enorme….

Ad esempio?  
Ad esempio, Romano Santi portava sempre il somaro in Rio Maggio: un giorno si era slegato. Romano venne a casa e lo disse a uno dei  figli., Primitivo. Lui ando‘ a cercarlo, ma il padre  lo mise sull’attenti: al massimo, gli disse,  arriva nel Burango… se l’hai trovato bene, se no vuol dire che e’ perso.” Se ha varcato il fosso – ripete’ -  il somaro e’ perso”.  

Come ricorda quelle persone?
Era gente che “si” prendeva, che “ti” prendeva anche in giro… in casa mia c’erano “Romanazz, Vittori..” a fare chiacchiere, d‘inverno…Quando aveva bevuto Vittori era la fine del mondo…  
Ma c’era anche una grande solidarieta’: ricordo ad esempio i   Moruzzi,  i Rinaldi.
Quando ad esempio in una famiglia moriva un fratello giovane, l’altra si addossava il mantenimento di sua moglie e dei suoi figli. E’ successo anche nella famiglia di mio padre:  quando mori’ mio nonno,  lui aveva 11 anni,   l’altro fratello, Giovanni, ne aveva 3. Francesco, il fratello di mio nonno, mantenne  la famiglia di mio padre: dal 1902 al 1929 la famiglia e’ rimasta unita. Abitavano alla serra, eravamo contadini dei Musolesi , detti Pedrazzi.

La solidarieta’ non era estranea a quella gente…    
Ricordo che c’era Ermanna (Ermanna Santi, ndr) che faceva il pane, e dava due pagnotte ai contadini  … e c’erano i poveri che passavano alle elemosine, e tutti gli davano qualcosa … Un giorno passo’ “Boba” , che non era proprio normale. Aveva appoggiato il suo sacco su un muretto del borgo, ma la proprietaria del posto – vedendolo strano -  gli disse: “ Via, via, questa e’ proprieta’ privata”. Lui prese il sacco, se lo mise in spalla e rispose: “Sono a posto anch’io, dovro’ tenere sempre il sacco in spalla, io, che non sono proprietario di niente!”.  (in dialetto).





 
 
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